La storia dell’oro negli ultimi duecento anni è stata legata principalmente a due sistemi economici: il Gold Standard e gli accordi di Bretton Woods. Con la fine di quest’ultimi l’oro ha smesso di essere legato direttamente al denaro, sebbene non abbia completamente smesso di avere correlazioni con le valute correnti, fra tutte il dollaro americano, dato che la quotazione dell’oro in borsa è espressa nella valuta statunitense.
Facendo un passo indietro torniamo alla fine delle guerre napoleoniche, concluse con l’esilio dell’imperatore francese a Sant’Elena e con il Congresso di Vienna, che decretò la restaurazione e la fine del dominio della Francia in Europa.
Il Gold Standard
Durante le guerre contro Napoleone Bonaparte la Banca d’Inghilterra con l’appoggio del governo britannico smise di convertire le banconote inglesi con oro e argento. Sostanzialmente la cartamoneta iniziò ad avere un corso forzoso e non più convertibile con i due metalli preziosi.
Nell’anno successivo il Regno Unito volle risolvere questa soluzione impostando un sistema basato solamente sull’oro e non più sull’argento, che verrà chiamato Gold Standard, traducibile in italiano con “sistema aureo“. Esso fu un passo molto importante per la recente storia dell’oro.
Fino a quel momento il Regno Unito adottava le ghinee, chiamate così per via della colonia britannica della Guinea, infatti l’oro per coniarle proveniva da lì. Con l’introduzione del Gold Standard lo Stato decise di sostituire le ghinee con la sterlina d’oro, chiamata anche sovrana.
Il primo regnante ad essere rappresentato sulla sterlina d’oro fu Giorgio III, ma la moneta ha continuato ad essere prodotta, salvo alcune interruzioni, fino ad oggi con il volto di Elisabetta II.
Come funzionava il Gold Standard? Possiamo sintetizzare questo sistema in tre punti principali:
- La Banca d’Inghilterra doveva convertire le banconote in oro su richiesta del contraente.
- Non poteva esserci nessun limite all’importazione e all’esportazione di oro
- La Royal Mint, ossia la zecca reale britannica, aveva l’obbligo di acquistare e vendere oro a un prezzo prestabilito. Non c’era nemmeno qui limite sulla quantità di oro da scambiare.
Sostanzialmente l’oro contenuto nei depositi della Bank of England corrispondeva al valore totale delle banconote in circolazione. Qualora l’oro nei depositi fosse sceso, allora anche la moneta si svalutava; viceversa in caso di aumento della quantità di oro nei depositi, le banconote si apprezzavano.
Uno dei compiti principali della Banca d’Inghilterra era quello di far coincidere la quantità di oro in entrata e in uscita dalle proprie riserve, così da mantenere la stabilità dei prezzi. Un afflusso maggiore di oro poteva causare l’inflazione, un deflusso del metallo prezioso poteva provocare l’esatto l’opposto.
Fino al 1870 il solo Regno Unito adottò il sistema aureo, ma proprio quell’anno avvenne un fatto che cambiò la storia dell’oro dell’Ottocento: ovvero l’entrata nel Gold Standard da parte della neonata Germania. Questa era Interessata ad accedere ai mercati finanziari di Londra e fu spinta dalle riparazioni di guerra che la Francia gli doveva dopo la guerra franco-prussiana (fu imposta la cifra monstre di 5 miliardi di franchi) ad avviare una nuova moneta, ossia il marco aureo.
Dopo l’adesione della Germania molti altri Stati entrarono nel Gold Standard, dato che Germania e Regno Unito in quel periodo avevano una posizione commerciale dominante. L’Italia vi aderì nel 1883.
La crisi del Gold Standard
Il Gold Standard sopravvisse per altri decenni fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Ad eccezione degli Stati Uniti d’America tutti gli Stati sospesero il sistema aureo per finanziare l’industria bellica. Al termine del primo conflitto mondiale non tutti gli Stati tornarono subito al Gold Standard.
Famosa fu l’iperinflazione della Germania nel primo dopoguerra che svalutò completamente il Papiermark, ossia la valuta nazionale. Il Trattato di Versailles obbligò la Germania a risarcire le potenze vincitrici dei danni di guerra, ma la richiesta fu molto esosa. La Repubblica di Weimar (nata dalla dissoluzione dell’Impero tedesco) iniziò a stampare moneta per poter saldare i debiti creando però un’inflazione eccessiva nel giro di pochissimo tempo. Il Papiermark arrivò a svalutarsi talmente tanto che valeva meno della carta con cui veniva stampata.
Grazie al Piano Dawes nel 1924 la Germania si risollevò e potè ritornare nel Gold Standard, con la speranza di dare stabilità ai prezzi. Il Regno Unito vi tornò nel 1925 insieme ad altre Nazioni, ma il sistema aureo non sopravvisse alla Grande Depressione seguita alla crisi del ’29.
Ufficialmente il Gold Standard terminò nel 1931, data anche la riduzione degli scambi commerciali fra i Paesi che vi aderirono. Fu uno dei momenti più importanti della storia dell’oro.
Storia dell’oro del Novecento: gli accordi di Bretton Woods
Negli anni trenta l’unico evento che sconvolse il mondo non fu certamente la fine del Gold Standard, ma anche la salita al potere di regimi totalitari, soprattutto in Germania e in Italia. Nel luglio del 1944, dunque con la seconda guerra mondiale ancora in corso, 730 delegati di 44 nazioni diverse si riunirono a Bretton Woods, località del New Hampshire, negli Stati Uniti d’America. La conferenza fu chiamata “Bretton Woods Conference” e fu convocata per decidere quale sistema monetario doveva essere attuato al termine del conflitto mondiale.
Dalla fine del Gold Standard in poi gli Stati nazionali avevano deciso di svalutare la propria moneta per favorire le esportazioni, provocando però una contrazione delle entrate economiche e di conseguenza aumento della disoccupazione e decrescita.
Per evitare attacchi speculativi ai danni delle nazioni sconfitte o in generale quelle più in difficoltà si decise di porre fine ai tassi di cambio variabili, ma di renderli fissi. Per la prima volta nella storia dell’oro, ma anche della storia umana, il sistema monetario divenne dollaro-centrico. Infatti tutte le valute erano legate a tassi fissi con il dollaro, il quale era legato a un ulteriore tasso fisso con l’oro. Per la precisione 1 oncia d’oro doveva corrispondere a 35$.
Oltre che ad essere dollaro-centrico il nuovo sistema era una sorta di nuovo Gold Standard, ma con alcune differenze, la prima fra tutte è chiaramente il dominio della valuta statunitense.
Da quel momento in poi il dollaro diventò la valuta principale per gli scambi commerciali internazionali. I prezzi delle materie prime iniziarono ad essere espressi in dollari, fatto che tutt’ora persiste.
Venne creato il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che aveva il compito di vigilare sulla stabilità monetaria mondiale. Da quel momento la svalutazione monetaria era ammessa solo previo consenso del FMI, ma in ogni caso era concessa solo in caso di situazioni critiche.
La fine degli accordi di Bretton Woods
La storia dell’oro fu quindi legata a quella del dollaro e inizialmente gli accordi di Bretton Woods ebbero risultati incoraggianti e le recessioni furono rare, ma col tempo i primi problemi vennero fuori. Innanzitutto la Federal Reserve poteva coniare illimitatamente tutta la moneta che voleva ed essendo un sistema dollaro-centrico ciò si ripercuoteva su tutto il mondo. Negli anni ’60 ci fu infatti una globale inflazione.
A causa di tale inflazione prezzo dell’oro era troppo basso in termini reali e ci fu una grande opposizione alla svalutazione del dollaro in favore dell’oro e rivedere quindi quel rapporto 1 oncia = 35$ che non aveva più ragione di esistere in termini reali.
Le riserve auree andarono mano mano scendendo, mentre la crescita economica continuava ad essere ampia. Secondo gli analisti ciò significava che il livello delle riserve di oro del mondo non era sufficiente.
Nel 1961 otto nazioni misero in comune le proprie riserve auree per difendere il prezzo dell’oro fissato negli accordi di Bretton Woods e bloccare un suo rialzo, che in un’economia a tassi variabili sarebbe stato inevitabile. Le otto nazioni formarono il London Gold Pool e precisamente parliamo di USA, Germania, Regno Unito, Italia, Francia, Belgio, Svizzera e Paesi Bassi.
Questo accordo non resse e nel 1968 si diede vita a due mercati paralleli dell’oro, il primo ufficiale a tassi fissi e il secondo a tassi variabili. Anche questa soluzione non portò a risultati incoraggianti e iniziò un’intensa speculazione contro il dollaro, tanto da portare alcune banche centrali a non accettare più dollari in liquidazione.
Per porre fine a questa speculazione il presidente americano Nixon annunciò nell’agosto del 1971 la fine degli accordi di Bretton Woods. Infatti Nixon disse che gli Stati Uniti d’America non avrebbero più accettato la convertibilità del dollaro in oro.
Da quel momento il mercato dell’oro fu libero, così come lo conosciamo ora. La quotazione dell’oro dipende dalla domanda e dall’offerta di mercato e il suo prezzo è espresso in dollari. Dunque la correlazione con la valuta statunitense è rimasta solo indirettamente. Dal 1971 oro e dollari hanno iniziato ad avere vita propria sui mercati finanziari. Iniziò dunque una nuova era per la storia dell’oro.